Questa settimana siamo costrette a dare due brutti aggiornamenti per ciò che concerne la lesione dei 'nostri' diritti Lgbtqi. La prima notizia, della quale vi parleremo in questo post, riguarda, il recente pronunciamento della prima sezione civile della Suprema Corte di Cassazione, che, con un'ordinanza depositata lo scorso 20 aprile, ha convalidato il riconoscimento dell'efficacia nell'ordinamento italiano di una sentenza ecclesiastica con la quale era stata dichiarata, nel 2012, la nullità di un matrimonio celebrato nel 1990, tra i coniugi pugliesi Antonio M. ed Anna P.
(Foto dal sito lastampa.it) |
E, in effetti, non ci sarebbe nulla di strano, se non fosse che tale Ordinanza della Corte di Cassazione ha validato la motivazione a suo tempo data dal tribunale ecclesiastico per lo sciogliemento del vincolo. Motivazione che, leggete con attenzione, nei fatti, fa ricadere le colpe dell'annullamento esclusivamente in capo alla moglie, la quale, scopertasi gay, dopo dieci anni di matrimonio e tre figli, è stata accusata di "simulazione" nel matrimonio, manifestando con il tempo "una crescente insofferenza per la vita coniugale".
E fino a questo punto, al limite, possiamo anche soprassedere. Ciò che non può essere accettato e condiviso (come lesbiche e come donne), al punto da spingere il PG stesso della Cassazione, Francesca Cerioni (magistrata specializzata in diritto della famiglia e delle persone) ad opporvisi - invano - è il motivo sotteso, secondo i giudici, alla "simulazione" e cioè che la moglie (Anna P., questo il nome riportato negli articoli di stampa), in quanto gay, è stata giudicata dalla Sacra Rota "affetta da disturbo grave della personalità", nonché da una "malattia" che
"avrebbe minato il suo consenso".
Inutile dire che, a questa aberrazione giuridica, come leggiamo in uno dei due articoli dedicati al caso dalla repubblica.it, si è opposta la PG Cerioni, <<parlando di decisione
"discriminatoria" della "libertà sessuale e affettiva" della donna
considerata, dalla sentenza emessa dal Tribunale ecclesiastico regionale
della Puglia e recepita dalla Corte di Appello di Lecce nel 2017, come
affetta da "malattia psichica">>.
Discriminazione talmente grave e palese che, per la PG doveva adirsi la Corte europea dei diritti umani per un pronunciamento ma che per i Supremi giudici della Prima sezione che hanno emesso l'Ordinanza nemmeno sussiste, non avendo ravvisato in detto pronunciamento alcun elemento di discriminatorio!.
Ma vi è di più. Dal punto di vista prettamente tecnico-giuridico, nel confermare la validità della sentenza della Sacra Rota, denegando così la tutela ad Anna P., i supremi giudici hanno anche addotto il fatto che la donna sia rimasta contumace (che significa che non si è costituita in giudizio e non si è difesa), con ciò dimostrando, secondo il loro convincimento, il disinteresse per i risultati della controversia.
Ma vi è di più. Dal punto di vista prettamente tecnico-giuridico, nel confermare la validità della sentenza della Sacra Rota, denegando così la tutela ad Anna P., i supremi giudici hanno anche addotto il fatto che la donna sia rimasta contumace (che significa che non si è costituita in giudizio e non si è difesa), con ciò dimostrando, secondo il loro convincimento, il disinteresse per i risultati della controversia.
Inutile, anche in questo caso, la giusta obiezione del PG Cerioni, la quale ha dichirato "La
contumacia non è univocamente indicativa
del disinteresse per il risultato della controversia, e il diritto alla
vita privata e familiare di Anna P., necessitano della tutela officiosa
del giudice o almeno del Pg, custode dei diritti spiccatamente
pubblicistici del procedimento di delibazione. Spesso
poi dietro la contumacia, si nasconde il
soggetto più debole, anche economicamente" (e, per le non addette ai lavori, vi assicuriamo che le cause pendenti davanti alla Sacra Rota e quelle in Cassazione costano parecchi soldi).
Insomma, la Cassazione ha ritenuto di dover confermare la validità dello scioglimento del vincolo matrimoniale tra i coniugi Antonio M. e Anna P, così come sancito dalla Sacra Rota, in quanto Anna P., in pendenza di 10 anni matrimonio e con tre figli, avrebbe 'simulato' il suo amore per il marito, essendo la stessa "affetta da disturbo grave della personalità", nonché da una "malattia" che
"avrebbe minato il suo consenso".
Dunque, l'omosessualità della moglie, anche nel caso di un matrimonio durato più di dieci anni e arricchito dalla nascita di tre figli, è stato riconosciuto dalla Cassazione come motivo valido per la delibazione di una sentenza ecclesiastica di annullamento delle nozze della coppia pugliese, insieme all'esclusione della indissolubilità del vincolo da parte del marito.
In altri termini, seppur in presenza di rapporto durato oltre 10 anni e con tre figli procreati dai coniugi nel modo tradizionale, il Tribunale Ecclesiastico ha ritenuto di dover procedere comunque all'annullamento del vincolo perché Anna P. era gay, quindi, affetta da disturbo della personalità e da una malattia (l'essere omosessuale) che ha minato il suo consenso all'atto del matrimonio.
A nulla è valso, su questo punto, obiettare che la prevalente e costante giurisprudenza di tale organismo giurisdizionale si è sempre pronunciata nel mancato annullamento del vincolo se il matrimonio, al momento della richiesta di rescissione, durava da almeno (quindi minimo) tre anni. Introducendo la motivazione del disinteresse presunto di Anna P., dovuto alla sua contumacia, i giudici della Cassazione hanno baipassato anche questo punto.
(Foto ilsecoloditalia.it) |
Dunque, l'omosessualità della moglie, anche nel caso di un matrimonio durato più di dieci anni e arricchito dalla nascita di tre figli, è stato riconosciuto dalla Cassazione come motivo valido per la delibazione di una sentenza ecclesiastica di annullamento delle nozze della coppia pugliese, insieme all'esclusione della indissolubilità del vincolo da parte del marito.
In altri termini, seppur in presenza di rapporto durato oltre 10 anni e con tre figli procreati dai coniugi nel modo tradizionale, il Tribunale Ecclesiastico ha ritenuto di dover procedere comunque all'annullamento del vincolo perché Anna P. era gay, quindi, affetta da disturbo della personalità e da una malattia (l'essere omosessuale) che ha minato il suo consenso all'atto del matrimonio.
A nulla è valso, su questo punto, obiettare che la prevalente e costante giurisprudenza di tale organismo giurisdizionale si è sempre pronunciata nel mancato annullamento del vincolo se il matrimonio, al momento della richiesta di rescissione, durava da almeno (quindi minimo) tre anni. Introducendo la motivazione del disinteresse presunto di Anna P., dovuto alla sua contumacia, i giudici della Cassazione hanno baipassato anche questo punto.
Da qui, la conclusione parimenti aberrante (come se anche tutte le premesse non lo fossero già) e cioè che la Cassazione ha
ritenuto "non in contrasto con i principi dell'ordine pubblico italiano"
il verdetto del tribunale ecclesiastico che ha ritenuto Anna "incapace"
ad assumere "gli obblighi essenziali del matrimonio per cause di natura
psichica", solo perché innamoratasi di un'altra donna.
Senza altre parole.
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