Ultimo aggiornamento il 10 novembre 2024

Diritti Lgbtqi+ - l'Unione Europea reagisce compatta: al via le procedure d'infrazione per violazione dei diritti Lgbtqi+ nei confronti di Ungheria e Polonia

(foto eurobull.it)
 _MduL, 18 luglio 2021_
 
In previsione della imminente sospensione del Blog per le vacanze estive, ci teniamo ad aggiornarvi anche sulle 'questioni omofobe estere', che hanno coinvolto e coinvolgono due dei 27 paesi dell'Unione Europea: l'Ungheria di Viktor Mihály Orbán e la Polonia di Andrzej Duda.
 
Viktor Orban (wikipedia.org)
Di Viktor Orban e della 'nefasta' situazione ungherese vi abbiamo parlato lo scorso 27 giugno, con il post "Omofobia - Parliamo di Ungheria e di Unione Europea e di come la legge anti-Lgbtqi+ voluta da Orban abbia compattato tutta l'Unione nella sua condanna", al quale, per non ripeterci vi rinviamo, per raccontarvi della introduzione nel paese di una legge formalmente a tutela dei minori ma in realtà fortemente omofoba ed anti-Lgbtqi+, che sancisce, tra le altre cose, essere illegale mostrare a un minore qualsiasi contenuto che rappresenti “deviazioni dall'identità corrispondente al proprio sesso assegnato alla nascita”, in un paese dove la norma costituzionale ora sancisce che “il padre sarà uomo e la madre sarà donna”.
 
Vi accenniamo qui, invece alla situazione, altrettanto 'nefasta' per noi, che si è andata costruendo in Polonia in questi ultimi anni.
Sorvolando volutamente su questioni molto serie ed importanti che comunque ci riguardano in quanto donne, come la posizione della donna e l'aborto, e su altre questioni parimenti importanti come quelle dello smantellamento dell'indipendenza della magistratura, dei quali pure la Polonia sta facendo 'scempio', in questa sede tratteremo solo della questione che più ci riguarda da vicino e cioè delle sempre più stringenti ed esecrabili normative omofobe, dettate ed applicate nel paese polocco contro le persone Lgbtqi+.
 
Pres. Duda (wikipedia.org)
Prima una premessa, la Polonia è una repubblica parlamentare, come la nostra, che ha un Presidente della Repubblica che dal 2015 è Andrzej Duda con al governo un Primo ministro che dal 2017 è Mateusz Morawiecki. Entrambi - e vi preghiamo di notare questa forte anomalia, foriera di una reale mancanza di libertà nelle istituzioni, visto che sia il Governo, che la maggioranza parlamentare che il Presidente della Repubblica, che avrebbe la possibilità di veto sulle leggi, sono tutti dello stesso partito politico - sono esponenti del partito PIS (Prawo i Sprawiedliwość), in italiano "Diritto e Giustizia" che potremmo liberamente definire ultra-conservatore.
 
Questi, infatti, alcuni degli interventi degli esponenti del PiS, finalizzati a rendere la Polonia un paese - haì noi - a propria immagine, approvando nel corso degli anni delle leggi, in ogni ambito della vita pubblica, atte a consolidare il predominio del partito di governo, contestualmente riducendo i margini di manovra delle opposizioni: il diritto di riunione viene così limitato ed i media, a partire proprio dalla televisione di Stato, controllati, facendo precipitare il paese, in 5 anni, dal 18esimo al 62esimo posto dell’indice sulla libertà di stampa di Rsf.
Morawiecki (wikipedia.org)

Tutto ciò, contestualmente introducendo ed imponendo una concezione della società sempre più aderente a quelli che il governo considera “i valori tradizionali, nazionali e cattolici”. 
E' così che il target interno da colpire sono le persone LGBTI+, indicate, con le parole del Presidente della Repubblica Duda, come portatrici “di un’ideologia peggiore del comunismo”. Ed ecco allora che vi è lo sdoganamento delle peggiori e più retrive posizioni e dichiarazioni in danno alla persone lgbtqi+, con deputati che possono sostenere nei talk show della tv pubblica polacca che "gli omosessuali non sono normali" o scrivere su Twitter che "il Paese sarebbe più bello senza di loro"
Ma ancora non basta, visto che ad alcuni sindaci conservatori è stato concesso dichiarare i loro comuni “LGBTI-free”, cioè 'orgogliosamente' liberi da persone omosessuali, lesbiche, transgender, queer ecc.., insomma, da persone come noi.

Insomma, anche nel caso della Polonia, una quadro desolante e sempre più preoccupante di deriva democratica e di tutela dei diritti non solo delle persone Lgbtqi+, ma di tutti i cittadini polacchi in generale.

Come è evidente, avere due paesi sempre più autoritari e sempre più omofobi all'interno dell'Unione Europea, non può essere accettato e condiviso, da qui la battaglia dell'UE, con le armi in verità alquanto spuntante, per cercare di far rispettare il diritto e, soprattutto, i principi dell'Unione. Principi che in materia di diritti sono di inclusione, rispetto e condivisione e che, dunque, in alcun modo possono trovare una simile violazione in due sue paesi membri.
La sede della Corte di Giustizia UE (foto lastampa.it)
Ed ecco allora che vi è il sempre più invocato intervento della Corte di Giustizia UE che, però, per statuto europeo ha dei limiti di competenza o l'applicazione di procedure d'infrazione per la violazione dei principi di separazione dei poteri istituzionali ecc...che, però, non riescono da sole a porre un freno a queste derive omofobe sia polacche che ungheresi, vieppiù in questo periodo dove, a causa dello statuto e della legislazione europea, i due paesi possono al momento dormire sonni tranquilli visto che per poter tutti i 27 paesi usufruire dei copiosi fondi europei messi in campo per fronteggiare la pandemia con il recovery fund, la clausola fondamentale del necessario rispetto dei diritti umani e civili per poterne usufruire viene messa da parte, poiché è necessaria l'unanimità dei paesi coinvolti per l'approvazione del bilancio che stanzia i fondi detti.

Insomma, una questione non facile da scrivere, ma facile da capire, dunque, per potervi permettere di comprendere come l'UE fa o potrebbe fare a porre un limite a tali derive nazionaliste, autoritarie ed omofobe, vi riportiamo qui uno stralcio dell'imperdibile articolo di Vincenzo Genovese (link in calce al post) scritto lo scorso 24/08/2020 per iltascabile.com.
<< Come a Lussemburgo (dove vi è la sede della Corte di Giustizia Europea_ndr) non sempre si può rispondere agli appelli, così da Bruxelles si fatica a intervenire in maniera efficace. Al netto di iniziative non vincolanti e quindi sostanzialmente aleatorie come raccomandazioni (Commissione) e risoluzioni (Parlamento), le istituzioni europee hanno due strumenti per fermare il declino dello Stato di diritto: le procedure di infrazione (ex art. 258 TFUE) e l’Articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea. Il primo è un arma di precisione, dal raggio limitato. Il secondo un bazooka, potenzialmente decisivo ma molto difficile da innescare.
Con una procedura di infrazione, la Commissione Europea può richiamare uno Stato membro al rispetto dei trattati comunitari e, in caso di inadempienza, deferirlo alla Corte di Giustizia Europea.
La riforma della giustizia polacca è valsa da sola quattro procedure tra il 2017 e il 2020, che in alcuni casi hanno prodotto misure cautelari in grado di rintuzzare i singoli assalti del PiS alla magistratura, ma mai di intaccare l’intero progetto di controllo del sistema giudiziario.
Tramite l’Articolo 7, invece, la Commissione denuncia un serio rischio di violazione dei valori fondamentali dell’Unione. Dopo una procedura lunga e complessa, che prevede un ampio confronto e il voto favorevole dei due terzi del Parlamento Europeo, lo Stato interessato può perdere temporaneamente i suoi diritti in seno all’Unione, fra cui quello di voto. Ma questa misura estrema si può adottare solo con un voto all’unanimità degli altri Capi di Stato e di governo riuniti nel Consiglio Europeo, come racconta al Tascabile Terry Reintke, europarlamentare dei Verdi tedeschi che si occupa del caso nella commissione parlamentare per le Libertà Civili (LIBE). “L’attivazione dell’Articolo 7 (20/12/2017, ndr) – è stata utile, perché ha favorito il dialogo, il monitoraggio, l’emersione dei problemi della Polonia. Ma non si arriverà mai fino in fondo, perché al Consiglio l’Ungheria protegge la Polonia e viceversa”.
Il periodo storico, inoltre, non è dei più propizi: come ha dimostrato il recente negoziato sul Recovery Fund e sul bilancio pluriennale dell’Unione, gli altri Paesi sembrano poco disposti a fare la voce grossa con il governo polacco, che come tutti gli altri dispone del potere di veto nel Consiglio Europeo. Per non inficiare la delicata trattativa, si è sostanzialmente sorvolato sulle questioni di principio, evitando di vincolare in maniera stringente l’erogazione dei fondi europei al rispetto dello Stato di Diritto.>>
 
E qui, finalmente, arriviamo agli ultimi sviluppi di questi giorni che vanno comunque letti con fiducia, anche a dispetto di quanto letto sopra, perché, in ogni caso, a prescindere dagli strumenti istituzionali utilizzati, l'UE, se vuole, sa essere davvero molto persuasiva. Comunque, la situazione, ad oggi è la seguente.
 
Ursula von der Leyen (wikipedia.org)
Prima una premessa: ricordate quanto dichiarato dalla Presidente della Commissone Ue, Ursula von der Leyen, lo scorso 7 luglio, davanti agli eurodeputati riuniti in plenaria? Dichiarò: «L’Europa non permetterà mai che parti della nostra società siano stigmatizzate: sia a causa di chi amano, a causa della loro età, della loro etnia, delle loro opinioni politiche o delle loro convinzioni religiose». 
Per la Commissione, infatti, la legge anti-Lgbtiq ungherese viola i valori contenuti nell’articolo 2 del Trattato dell’Ue, tra i quali il divieto di discriminazione ed anche la direttiva sui servizi di media audiovisivi, quella sul commercio elettronico, il diritto alla protezione dei dati. 
 
Inutile dirvi che l’Ungheria non ha incassato, ma è andata subito all’attacco, sostenendo in sede di conferenza stampa, a mezzo del Capo di gabinetto di Orban, Gergely Gulyas, «Bruxelles chiaramente non ha voce in capitolo» sulla legge anti-Lgbtiq ungherese e non deve «interferire» nelle aree di competenza nazionale e che il suo ragionamento per l’azione legale è «più politico che legale», che Budapest non vede alcuna violazione della libertà di commercio e «sono argomenti assolutamente sospetti». Ha poi aggiunto che «se l’Ue vuole interferire nei settori coperti dalle Costituzioni nazionali, potrebbe mandare in frantumi l’intera Unione». 
 
Reazioni molto forti anche da parte della Polonia, la quale ha risposto con i fatti alle esortazioni della UE, con una sentenza della Corte costituzionale polacca che ha affermato che le decisioni della Corte di giustizia dell’Ue sull’indipendenza della magistratura «non sono compatibili con la Costituzione polacca».  Ma non solo, il premier polacco, Mateusz Morawiecki, ha lamentato un trattamento «discriminatorio», sostenendo che la sua riforma della giustizia non si discosta da quella di Germania e Spagna.
 
Ovviamente, la Commissione ha risposto alla Polonia, ricordando che «la legge Ue ha la primazia sulla legge nazionale. Tutte le decisioni della Corte di giustizia Ue, incluse le misure ad interim, sono vincolanti» e vanno applicate, in caso contrario la Commissione «userà i suoi poteri».
 
E questo ha fatto, visto che circa una settimana dopo, la Commissione ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Ungheria e un’altra della Polonia per la violazione dei diritti fondamentali delle persone Lgbtiq
Nello specifico, con riferimento alla Polonia, la procedura d’infrazione in materia di diritti Lgbtqi+ è stata aperta poiché la Commissione ritiene che le autorità polacche non abbiano risposto in maniera esauriente alle sue richieste di chiarimento sulla natura e sull’impatto delle «zone libere dall’ideologia Lgbt» istituite da marzo 2019 da diverse regioni e comuni polacchi, di cui vi abbiamo parlato in precedenza.

Lo scorso 14 luglio (se non ricordiamo male) Bruxelles ha quindi inviato una lettera di messa in mora e ora Budapest e Varsavia hanno due mesi di tempo per rispondere ai rilievi della Commissione, trascorsi i quali l’esecutivo comunitario potrà decidere di inviare pareri motivati e successivamente deferire i casi alla Corte di giustizia dell’Ue. 
 
Riusciranno tali procedure della UE a far desistere l'Ungheria e la Polonia dal continuare ad erodere i diritti Lgbtqi? Speriamo, è anche vero che, soprattutto nel caso dell'Ungheria, che andrà ad elezioni in prossimo anno, riuscire ad avere i fondi dell'Unione è di fondamentale importanza...

Vedremo come andrà a finire, intanto incrociamo le dita.

MduL 



Fonti ed Approfondimenti:
Post MduL "Omofobia - Parliamo di Ungheria e di Unione Europea e di come la legge anti-Lgbtqi+ voluta da Orban abbia compattato tutta l'Unione nella sua condanna" del 27/06/2021;
Articolo "Polonia 2020: come si distrugge una democrazia" di Vincenzo Genovese per iltascabile.com del 24/08/2020;
Articolo "Ungheria e Polonia pongono il veto sui fondi UE" della redazione di sicurezzainternazionale.luiss.it del 16/11/2020;
Articolo "Legge anti-Lgbtq, l'Ue lancia la procedura di infrazione contro Orban" di Angela Mauro per huffingtonpost.it del 15/07/2021;
Articolo "Ue contro Polonia e Ungheria: diritti violati, via alla procedura d’infrazione" di Francesca Basso per corriere.it del 15/07/2021;
Articolo "L’Unione europea apre una procedura d’infrazione contro Polonia e Ungheria per violazione dei diritti Lgbtqi" di F.Q. per ilfattoquotidiano.it del 15/07/2021.

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