(foto da urbanpost.it) |
E' di qualche settimana fa la notizia del nuovo ed innovativo pronunciamento della Corte Costituzionale in merito ad un contenzioso sorto tra due mamme (coppia lesbica) per la tutela e l'affido dei loro figli. Ha ritenuto il supremo consesso, infatti, che anche la mamma non biologica (quella, cioè, che non ha materialmente partorito i bambini) deve poter vedere i figli in caso di separazione e, oggi, divorzio.
L'importanza del pronunciamento dovrebbe essere evidente a tutte noi. Ancora oggi, infatti, pur con l'intervento della tanto attesa legge Cirinnà sulle unioni civili (Legge n.76/2016), la disciplina giuridica dei figli nati e/o affidati alle coppie omosessuali non ha alcuna regolamentazione.
Del resto, la tutela di questi bambini, figli, è ancora oggi demandata ai giudici che sono tenuti, se richiesti, a dare una disciplina ai casi loro sottoposti, applicando norme e principi di diritto "per relationem" (cioè applicando al caso specifico loro sottoposto, grazie all'interpretazione giuridica, delle norme dettate dall'ordinamento giuridico per casi diversi, seppur simili).
Ma, per meglio intenderci, partiamo dall'inizio.
Due donne, innamorate da anni, ad un certo punto, come succede con ogni coppia di ogni tipo (brutto questo termine!), decidono di separarsi. Niente di ché, sennonché dal loro amore erano nati due figli, gemelli. Si è posto dunque il problema del loro affido, visto che entrambe le mamme si contendevano, esattamente come le coppie eterosessuali, la cura esclusiva dei figli.
Ora, mentre nelle coppie eterosessuali, se accade una cosa del genere, vi sono le norme giuridiche dettate dall'ordinamento che aiutano i giudici a decidere la causa di affido, per le coppie omosessuali, anche se ormai riconosciute dalla legge, manca completamente una disciplina che possa regolamentare questi situazioni di contrasto. La legge Cirinnà, infatti, non è riuscita a portare l'estensione delle norme del matrimonio "normale" (scusate il termine!), anche alle unioni civili, con ciò lasciando questo vergognoso buco legislativo che obbliga i giudici ai salti mortali per poter dare giustizia e tutela a tutte le parti in causa, soprattutto ai bambini.
Nel caso in esame la svolta. La (ex) coppia di donne, infatti, era andata davanti ad un primo giudice, in Tribunale, per la contesa dell'affido dei figli. E questo primo giudice aveva deciso che i figli, pur se nel nostro ordinamento non riconosciuti come anche della mamma "sociale" (cioè non-biologica, quella che non li ha partoriti), avevano comunque il diritto all'affettività anche di detta mamma che, quindi, pur non essendo niente per loro a livello giuridico (parliamo di alcuni anni addietro, nel 2011. Le donne avevano fatto richiesta affinché la mamma "sociale" venisse riconosciuta come madre adottiva, ma non ci fu niente da fare), il giudice decretò che i bambini potessero e dovessero avere un affido congiunto o, comunque, che la madre non biologica potesse continuare ad avere ed a sviluppare con loro il rapporto affettivo costruito fino a quel momento.
A fronte di questa decisione del primo giudice, la mamma "biologica" (quella che li ha partoriti) non ci sta e decide di rivolgersi al secondo giudice (superiore), cioé alla Corte d'Appello, per arrivare al capovolgimento della decisione.
A questo punto, questo secondo giudice, ravvisando l'importanza della decisione e la mancanza di norme sulle quali poter decidere, ha sottoposto (cioè "rimesso") la decisione della questione alla Corte Costituzionale che è il massimo organo che nel nostro ordinamento si occupa della corretta applicazione della legge. Dice, cioè, ad un giudice che lo chieda loro, come deve essere applicata la legge in una determinata materia che ha delle evidenti mancanze e/o incongruenze con il sistema giuridico e la costituzione.
Ecco che, dunque, la causa davanti al secondo giudice, quello della corte d'appello, nel 2015, è stata interrotta per dare modo alla Corte Costituzionale di dire quali norme e quali principi si devono applicare per decidere sull'affido di questi due bambini contesi da due mamme lesbiche, una biologica ed una no.
Testa di ponte per tale pronunciamento, è stata la sottoposizione da parte dei giudici d'appello della seguente questione: l'art. 337-ter del codice civile sancisce che "Il figlio minore ha il diritto di mantenere un
rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di
ricevere cura, educazione, istruzione, assistenza morale da entrambi e
di conservare rapporti significativi con i parenti di ciascun ramo
genitoriale". Ma ciò, vale anche per i figli non biologici?
Ed è proprio qui, nella risposta a tale domanda, che la Consulta (cioè la Corte Costituzionale) sta innovando il diritto. Argomenta la Corte, infatti, che, essendo ormai riconosciuto come primario il diritto e l'interesse dei figli, così come sancito dalla Convenzione dei diritti dell'uomo, la nostra carta costituzionale e quindi il nostro ordinamento non può ignorare tale riferimento, cui fa espressamente richiamo la carta e, dunque, i giudici sono tenuti a dare applicazione a detto principio sancendo in tali casi che un figlio, e quindi la madre di fatto pur priva di legami
biologici, ha gli stessi diritti di un genitore tradizionale. Il suo
essere “genitore sociale” ne fa una protagonista obbligata nella vita
del bambino.
Una svolta legislativa che, con le parole dell'articolo della repubblica utilizzato come fonte, "pare proprio mettere la
parola fine su di un'incertezza normativa che per molti "genitori
sociali" - omosessuali e non - era ormai insopportabile".
MduL
Fonte:
Articolo: Mamme gay si contendono i figli, la svolta della Corte Costituzionale: "Anche il genitore non biologico deve vedere i figli" su huffingtonpost.it
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