Foto tratta dall'articolo di repubblica "Prime nozze gay in carcere, "Il nostro amore più forte delle sbarre"" |
Qui di seguito, vi proponiamo il resoconto della storia d'amore, coronata dall'Unione Civile, tra Camila ed Adriana, detenute a Roma, nel carcere di Rebibbia. Per farlo, riportiamo pedissequamente (ci siamo limitate solo ad aggiungere dei 'Grassetti' per agevolare la lettura) il bell'Articolo proposto da repubblica.it che, se volete leggere nella sua pagina originale, potete trovare a questo link: <<Prime nozze gay in carcere, "Il nostro amore più forte delle sbarre">> di Enrico Bellavia e Maria Elena Vincenzi per repubblica.it.
<<ROMa I due letti a castello, il fornelletto elettrico, la piccola dispensa ricavata da un armadietto. La tv accesa su un telegiornale. In un angolo un cane di ceramica come soprammobile e una loro foto in cornice. Il mondo di Camila e Adriana è tutto qui. In una piccola stanza con le sbarre. Si sono inseguite barattando la libertà con la possibilità di stare insieme. Un carcere per condominio, una cella per casa.
Ed è proprio qui, al secondo piano del reparto cellulare femminile di Rebibbia che, giovedì, si sono sposate (hanno contratto Unione Civile_ndr) «Siamo felicissime, sogniamo di poter vivere insieme fuori al più presto, anche se qui dentro ci siamo trovate ed è nato il nostro amore», raccontano a Marta Bonafoni, consigliere regionale, e a Stefano Anastasia, garante dei detenuti del Lazio.
Coccolate dalle compagne, aiutate da agenti ed educatori, sostenute dalla famiglia di Adriana, hanno celebrato l’unione civile, la prima in un penitenziario. Un punto di non ritorno nel difficile cammino per garantire l’affettività anche a chi è recluso.
Coccolate dalle compagne, aiutate da agenti ed educatori, sostenute dalla famiglia di Adriana, hanno celebrato l’unione civile, la prima in un penitenziario. Un punto di non ritorno nel difficile cammino per garantire l’affettività anche a chi è recluso.
Due anni fa, il primo incontro. Adriana racconta senza pudori: «Ho sempre saputo di essere omosessuale. Ho avuto altre compagne, ma nulla di paragonabile a Camila. All’inizio avevo paura, non capivo se lei fosse davvero innamorata». Le porte girevoli della giustizia hanno fornito le prove che cercavano.
Adriana, polacca, 25 anni, è venuta in Italia da bambina. La madre e il suo nuovo marito a lavorare nei campi. Lei a crescere tra lavori di casa e amicizie sbagliate. Poco più che maggiorenne, i primi problemi. Due anni fa, il carcere. E qui conosce Camila, 29 anni, un figlio piccolo rimasto con i nonni in Brasile. A vederle sembrano quasi coetanee, «non glielo dica che si monta la testa», scherza Adriana, che qui chiamano “il marito”.
Entrambe dentro per droga, si scrutano, si conoscono, si innamorano. Adriana lascia il carcere dopo qualche mese. «Piangeva in continuazione e mi ha confessato di aver trovato l’amore», racconta la madre, Elisabetta. «Siamo sempre state amiche, ma da quel momento lei ha capito a cosa serve una madre». Quando per un cumulo di condanne le porte di Rebibbia si riaprono, Adriana è raggiante: «Poteva rivedere Camila». Per poco. Questa volta è la “moglie” a lasciare il carcere per il lavoro esterno. Ma il loro amore resiste a burocrazia e privazioni.
«Eravamo in reparti separati, ci salutavamo attraverso la grata a due piani di distanza». Camila, che ha conosciuto la famiglia di Adriana e chiama “Mammina” Elisabetta, rinuncia al lavoro esterno pur di stare con Adriana: «Io non ho più genitori, mio figlio è lontano, è lei la mia famiglia». Il 26 ottobre da quei piani che le dividevano pioveva riso. «L’altoparlante che avverte delle visite ha dato l’annuncio: “le spose possono uscire”». Per Rebibbia è stata una giornata di festa. Le spose elegantissime per il rito a cui hanno assistito l’assessore Daniele Frongia, la garante dei detenuti del Campidoglio Gabriella Stramaccioni e il cappellano del carcere. «Erano due bomboniere», racconta la testimone, 63 anni, 19 dei quali passati a Rebibbia.
Camila e Adriana guardano avanti ma non dimenticano di dire grazie a chi le ha aiutate: il personale di Rebibbia che ha dato loro fiducia. Sono state contente che la loro storia sia stata raccontata: «Speriamo che serva ad aprire un dialogo sull’amore in carcere». Intanto loro, con l’entusiasmo di due giovani innamorate e sposate da appena tre giorni,
progettano il futuro. Adriana uscirà nel 2019, Camila tra tre mesi. E spera di riabbracciare presto suo figlio: «Voglio portarlo qui, lui sa di Adriana, di questa amica speciale che gli ha spedito il pallone autografato di Cristiano Ronaldo. Non permette a nessuno di toccarlo».
Adriana, polacca, 25 anni, è venuta in Italia da bambina. La madre e il suo nuovo marito a lavorare nei campi. Lei a crescere tra lavori di casa e amicizie sbagliate. Poco più che maggiorenne, i primi problemi. Due anni fa, il carcere. E qui conosce Camila, 29 anni, un figlio piccolo rimasto con i nonni in Brasile. A vederle sembrano quasi coetanee, «non glielo dica che si monta la testa», scherza Adriana, che qui chiamano “il marito”.
Entrambe dentro per droga, si scrutano, si conoscono, si innamorano. Adriana lascia il carcere dopo qualche mese. «Piangeva in continuazione e mi ha confessato di aver trovato l’amore», racconta la madre, Elisabetta. «Siamo sempre state amiche, ma da quel momento lei ha capito a cosa serve una madre». Quando per un cumulo di condanne le porte di Rebibbia si riaprono, Adriana è raggiante: «Poteva rivedere Camila». Per poco. Questa volta è la “moglie” a lasciare il carcere per il lavoro esterno. Ma il loro amore resiste a burocrazia e privazioni.
«Eravamo in reparti separati, ci salutavamo attraverso la grata a due piani di distanza». Camila, che ha conosciuto la famiglia di Adriana e chiama “Mammina” Elisabetta, rinuncia al lavoro esterno pur di stare con Adriana: «Io non ho più genitori, mio figlio è lontano, è lei la mia famiglia». Il 26 ottobre da quei piani che le dividevano pioveva riso. «L’altoparlante che avverte delle visite ha dato l’annuncio: “le spose possono uscire”». Per Rebibbia è stata una giornata di festa. Le spose elegantissime per il rito a cui hanno assistito l’assessore Daniele Frongia, la garante dei detenuti del Campidoglio Gabriella Stramaccioni e il cappellano del carcere. «Erano due bomboniere», racconta la testimone, 63 anni, 19 dei quali passati a Rebibbia.
Camila e Adriana guardano avanti ma non dimenticano di dire grazie a chi le ha aiutate: il personale di Rebibbia che ha dato loro fiducia. Sono state contente che la loro storia sia stata raccontata: «Speriamo che serva ad aprire un dialogo sull’amore in carcere». Intanto loro, con l’entusiasmo di due giovani innamorate e sposate da appena tre giorni,
progettano il futuro. Adriana uscirà nel 2019, Camila tra tre mesi. E spera di riabbracciare presto suo figlio: «Voglio portarlo qui, lui sa di Adriana, di questa amica speciale che gli ha spedito il pallone autografato di Cristiano Ronaldo. Non permette a nessuno di toccarlo».
Che dire? Auguri!.
MduL
Nessun commento:
Posta un commento