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MduL, 25 maggio 2025
E quando pensi che il mondo non abbia più nulla di bello da darti in questo terribile periodo storico, arriva la sentenza della nostra Corte Costituzionale n. 68 del 22 maggio 2025, che ti fa sperare in un mondo migliore e più bello, al punto da spingerci a scriverne.
Ma, bando alle ciance e passiamo subito ai fatti, scusandoci in anticipo per eventuali e più che probabili errori e/o inesattezze dovute all'impossibilità di una rilettura.
Premessa
La Corte Costituzionale è un organo costituzionale 'terzo', chiamato a giudicare la congruità e correttezza delle nostre leggi e la correttezza dei rapporti tra i poteri dello stato (es. Parlamento-Ministeri-Regioni ecc..). Qui, ci interessa la sua funzione di 'giudice delle leggi'.
Nel suo ruolo di 'giudice delle leggi' può essere attivata quando in una causa pendente in un Tribunale, il Giudice, autonomamente o su istanza, decide si debba rimettere alla Corte una questione giuridica che non è chiara o una valutazione della congruità delle norme vigenti in riferimento ai principi costituzionali, l'interpretazione delle quali incide sulla decisione del giudizio.
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Ecco, questo è quello che è successo in questo caso. Davanti al Giudice del Tribunale di Lucca, infatti, è stata sollevata la questione di costituzionalità "con riguardo all’atto di nascita del minore G. G.P., formato dall’ufficiale dello stato civile del Comune di C. e iscritto nei registri dello stesso Comune. L’atto è stato impugnato dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lucca in quanto riportava la dichiarazione di riconoscimento resa da due donne nelle rispettive qualità di madre biologica (G. G.) e madre intenzionale (I. P.) in contrasto con quanto previsto dalla circolare del Ministero dell’interno – Dipartimento per gli Affari interni e territoriali 19 gennaio 2023, n. 3".
In pratica, il Comune di Lucca aveva riconosciuto e registrato il bambino con tutte e due le mamme, sia quella biologica che quella intenzionale, sennonché, il Governo, in attuazione della Circolare del Ministro degli Interni n. 3/2023, ha ritenuto dover imporre a livello nazionale e, dunque, anche al Comune di Lucca, l'impossibilità di registrazione e la cancellazione dei certificati anagrafici già rilasciati, per sostituirli con uno dove veniva riconosciuta una sola madre, quella biologica, lasciando la madre intenzionale come un'estranea nei confronti del piccolo.
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A tale stato di cose, per fortuna di tutte noi, si opponevano le due mamme (ma anche il Sindaco del Comune di Lucca) che aprivano il giudizio presso il Tribunale di Lucca che qui ci occupa, nel contesto del quale è stata posta, tecnicamente, la seguente questione di costituzionalità.
La questione di costituzionalità.
Il Tribunale ordinario di Lucca, sezione civile, in composizione collegiale, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) e dell’art. 250 del codice civile, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione: agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come interpretati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo; all’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE); agli artt. 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9 e 18 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176 e agli artt. 1 e 6 della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, firmata a Strasburgo il 25 gennaio1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77.
Il complesso delle disposizioni è censurato nella misura in cui impediscono, al nato nell’ambito di un progetto di procreazione medicalmente assistita (PMA) eterologa praticata da una coppia di donne, l’attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche dalla cosiddetta madre intenzionale che, insieme alla madre biologica (per tale dovendosi intendere la donna che ha partorito), abbia prestato il consenso alla pratica fecondativa e, comunque, laddove impongono la cancellazione dall’atto di nascita del riconoscimento compiuto dalla madre intenzionale.
Cosa dice la Corte Costituzionale
Rinviando alla lettura completa delle motivazioni della Sentenza n. 68/2025, della quale inseriremo il link in fondo a questo post, vi segnaliamo alcuni passaggi.
a) sulla "Responsabilità Genitoriale":
"Dal comune impegno volontariamente assunto discendono i doveri inerenti alla responsabilità genitoriale".
Come già rimarcato da questa Corte, la legge non dà una definizione della responsabilità genitoriale, ma nell’art. 147 cod. civ. prevede i doveri dei coniugi verso i figli, individuandoli negli obblighi di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni. La norma ripete la formula dell’art. 30, primo comma, Cost. e «dal combinato disposto delle due disposizioni si evince il nucleo di detta responsabilità, che si collega all’obbligo dei genitori di assicurare ai figli un completo percorso educativo, garantendo loro il benessere, la salute e la crescita anche spirituali, secondo le possibilità socioeconomiche dei genitori stessi» (sentenza n. 31 del 2012).
A tali doveri corrisponde un insieme di diritti in capo al figlio, articolati dal legislatore, per l’appunto, nel «diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni»; nel «diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti» (art. 315-bis cod. civ.) e nel «diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale» (art. 337-ter cod. civ.).
b) sull'"interesse del minore":
Emerge, in tale contesto, il secondo concetto guida rilevante, costituito dall’interesse del minore o, per come si esprimono le fonti internazionali, dal “miglior interesse del minore”.
Il primario interesse del minore, titolare dei diritti corrispondenti al fascio di doveri sopra ricordati, è stato costantemente affermato da questa Corte, quale «principio che è riconducibile agli artt. 2, 30 (sentenze n. 102 del 2020 e n. 11 del 1981) e 31 Cost. (sentenze n. 102 del 2020, n. 272, n. 76 e n. 17 del 2017, n. 205 del 2015, n. 239 del 2014) e che viene proclamato anche da molteplici fonti internazionali, indirettamente o direttamente vincolanti il nostro ordinamento» (sentenza n. 79 del 2022).
Qualora vi sia una coppia di persone che ha intrapreso il percorso genitoriale, non è sufficiente il solo riconoscimento del rapporto con la madre biologica, sussistendo il «diritto del minore di mantenere un rapporto con entrambi i genitori» (sentenza n. 102 del 2020), diritto riconosciuto a livello di legislazione ordinaria (art. 315-bis, primo e secondo comma, e 337-ter, primo comma, cod. civ.) e affermato altresì da una pluralità di strumenti internazionali e dell’Unione europea (art. 8, comma 1, della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo nonché art. 24, paragrafo 3, CDFUE). In altri termini – come osservato nella sentenza n. 33 del 2021 – ciò che è qui in discussione è unicamente l’interesse del minore a che sia affermata in capo a costoro la titolarità giuridica di quel fascio di doveri funzionali ai suoi interessi che l’ordinamento considera inscindibilmente legati all’esercizio di responsabilità genitoriali. Doveri ai quali non è pensabile che costoro possano ad libitum sottrarsi.
Questa Corte ha, dunque, più volte ribadito la progressiva emersione della centralità dell’interesse del minore nel sistema normativo, alla luce dei princìpi costituzionali e della stessa evoluzione della legislazione ordinaria (da ultimo, sentenza n. 55 del 2025, nella materia penale).
c) sull'"unicità dello stato di figlio":
In parallelo alla considerazione della centralità dell’interesse del minore, si è venuta delineando, strettamente correlata allo stesso, l’affermazione dell’unicità dello stato di figlio, quale principio ispiratore della riforma della filiazione, introdotta nel biennio 2012-2013, compendiato dal nuovo art. 315 cod. civ. per cui «[t]utti i figli hanno lo stesso stato giuridico». In forza di tale principio tutte le forme di filiazione riconosciute dal nostro ordinamento (all’interno del matrimonio, fuori del matrimonio, adottiva nelle sue varie forme) godono della medesima considerazione, con riferimento sia alle situazioni giuridiche soggettive imputate al figlio (art. 315-bis cod. civ.), sia alla sua posizione nella rete formale dei rapporti familiari (art. 74 cod. civ.).
d) sulle "coppie omogenitoriali":
Nel quadro di princìpi testé delineato, il carattere omosessuale della coppia che ha avviato il percorso genitoriale in questione non può costituire impedimento allo stato di figlio riconosciuto per il nato.
L’orientamento sessuale, infatti, «non evoca scenari di contrasto con princìpi e valori costituzionali» (sentenza n. 32 del 2021), né «incide di per sé sull’idoneità all’assunzione di responsabilità genitoriale» (sentenza n. 33 del 2021).
Un’inidoneità genitoriale, in sé, della coppia omossessuale è stata costantemente esclusa da questa Corte che, in linea anche con la giurisprudenza di legittimità in materia di accesso alla PMA (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 22 giugno 2016, n. 12962), ha già avuto occasione di affermare che «non esistono neppure certezze scientifiche o dati di esperienza in ordine al fatto che l’inserimento del figlio in una famiglia formata da una coppia omosessuale abbia ripercussioni negative sul piano educativo e dello sviluppo della personalità del minore» (sentenze n. 32 del 2021 e n. 221 del 2019; nello stesso senso, sentenze n. 79 del 2022 e n. 230 del 2020).
La centralità dell’interesse del minore, raccordata con la responsabilità dei genitori che hanno legittimamente avviato di comune accordo il percorso di PMA, richiede di individuare in concreto quale sia il livello di protezione di tale interesse e quali siano le condizioni perché al nato possa essere riconosciuto lo stato di figlio anche della madre intenzionale.
L’interesse del minore consiste nel vedersi riconoscere lo stato di figlio di entrambe le figure – la madre biologica e la madre intenzionale – che abbiano assunto e condiviso l’impegno genitoriale attraverso il ricorso a tecniche di procreazione assistita. Il riconoscimento, per sua natura, opera da subito e indipendentemente dalle vicende della coppia e da eventuali mutamenti, al momento della nascita, della stessa volontà delle due donne che hanno fatto ricorso alla PMA e in particolare della madre intenzionale.
La necessità di una «diversa tutela del miglior interesse del minore, in direzione di più penetranti ed estesi contenuti giuridici del suo rapporto con la “madre intenzionale”, che ne attenui il divario tra realtà fattuale e realtà legale», era stata poi evidenziata con la sentenza n. 230 del 2020 e di recente – come si è detto – ribadita dalla sentenza n. 32 del 2021, che, nel segnalare la ricordata «preoccupante lacuna dell’ordinamento nel garantire tutela ai minori e ai loro migliori interessi», lamenta che questi, «destinati a restare incardinati nel rapporto con un solo genitore, proprio perché non riconoscibili dall’altra persona che ha costruito il progetto procreativo, vedono gravemente compromessa la tutela dei loro preminenti interessi».
e) sulle "carenze della Step Child Adoption"
Scrive la Corte sul punto: "A tal fine è stato anche posto in rilievo come l’attuale disciplina dell’adozione in casi particolari di cui all’art. 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983, in favore del partner dello stesso sesso del genitore biologico, appaia insufficiente per sanare il vulnus all’identità personale e all’interesse del minore a vedersi riconosciuto lo stato di figlio ai sensi dell’art. 8 della legge n. 40 del 2004 (sentenza n. 32 del 2021)".
Ma, ciò che più rileva sul piano delle tutele, il lasso di tempo intercorrente tra la nascita e il perfezionamento dell’(eventuale) adozione lascia il minore in uno stato di incertezza e imprevedibilità in ordine al suo stato, e, quindi, alla sua identità personale, esponendolo alle vicende della coppia e comunque alla mera volontà di uno dei due soggetti, e in particolare della madre intenzionale.
Infatti, l’avvio del procedimento è rimesso all’esclusiva iniziativa dell’adottante e la volontà di adottare deve permanere fino alla sua conclusione, con la conseguenza che si lascia completamente alla volontà proprio di chi ha condiviso il ricorso alla PMA di decidere se assumersi o meno gli obblighi genitoriali conseguenti alla sua scelta.
Di contro, non è prevista alcuna legittimazione in capo al minore (o a chi ne ha la rappresentanza legale) né, tantomeno, in capo alla madre biologica e, più in generale, nessuno strumento di tutela è accordato agli stessi per l’eventualità in cui la madre intenzionale decida di non procedere all’adozione, sicché proprio a lei viene a essere consentito di sottrarsi ai doveri assunti al momento della decisione di intraprendere con la partner il percorso genitoriale.
Ancora, in caso di morte della madre intenzionale o di intervenuta crisi della coppia nessun diritto potrà configurarsi in capo al minore nei confronti della madre intenzionale.
f) Sull'"incertezza ed imprevedibilità nel riconoscimento del figlio":
"Non possono poi essere sottaciute le ulteriori ragioni per cui l’acquisizione dello stato giuridico del nato è attualmente caratterizzato da assoluta incertezza e imprevedibilità.
Sul territorio nazionale, ad oggi, si assiste a una significativa eterogeneità di comportamenti tenuti dagli ufficiali di stato civile in ordine alla decisione di iscrivere o meno il nome della madre intenzionale del nato da PMA, oltre che dai pubblici ministeri in ordine alla decisione, in caso di iscrizione, di chiedere la rettificazione dell’atto.
LA CONCLUSIONE DELLA CORTE:
"In conclusione, questa Corte ritiene che il mancato riconoscimento – riconoscimento effettuato secondo le modalità previste dall’ordinamento (artt. 250 e 254 cod. civ. e d.P.R. n. 396 del 2000) − al nato in Italia dello stato di figlio di entrambe le donne che, sulla base di un comune impegno genitoriale, abbiano fatto ricorso a tecniche di PMA praticate legittimamente all’estero costituisca violazione: dell’art. 2 Cost., per la lesione dell’identità personale del nato e del suo diritto a vedersi riconosciuto sin dalla nascita uno stato giuridico certo e stabile; dell’art. 3 Cost., per la irragionevolezza dell’attuale disciplina che non trova giustificazione in assenza di un controinteresse; dell’art. 30 Cost., perché lede i diritti del minore a vedersi riconosciuti, sin dalla nascita e nei confronti di entrambi i genitori, i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli. La lesione ricondotta dal rimettente al «complesso delle disposizioni censurate» va ascritta in particolare all’art. 8 della legge n. 40 del 2004".
Dai che questa volta ci siamo!!
MduL
Sentenza della Corte Costituzionale n. 68 del 22 maggio 2025
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