Ultimo aggiornamento il 24 marzo 2024

La controversa sentenza del Tribunale dei minori di Milano: due donne unite civilmente non possono adottare le loro due figlie!

(Termometro Politico)

Ed ecco che, ancora una volta, siamo costrette a parlare di una sentenza che non agevola il raggiungimento della parità con il resto degli esseri umani nè, tantomeno, il perseguimento di quel minimo di diritti civili indispensabili ad un esistenza civile, di tutti.

Ci riferiamo all'ultima sentenza, in ordine di tempo, di un Tribunale del nostro paese; sentenza che ha negato il diritto a due donne conviventi, che hanno generato due figli, prima una poi l'altra, in tempi diversi e con lo stesso sperma donato, di poter adottare l'una il figlio procreato dall'altra. Ha impedito, insomma, che i figlie, pur nati dallo stesso donatore di sperma e conviventi con le due madri, biologica e sociale, potessero essere definite sorelle anche dal punto di vista giuridico (con tutte le implicazioni giuridiche che ciò comporta, in primis sulla successione ecc...)

Leggiamo infatti nell'articolo <<Milano, il giudice boccia la doppia stepchild adoption: "Non ne avete diritto">>, scritto per il sito repubblica.it da Piero Colaprico, che lo scorso mese di aprile, la signora Alba ha chiesto di adottare la figlia biologica della signora Bice e viceversa, cioè la signora Bice ha chiesto di poter adottare la figlia della signora Alba (entrambe le bambine sono minorenni). Di conseguenza, il procedimento per questa adozione 'incrociata' è stato unificato e le due richieste sono state trattate dal tribunale congiuntamente.

Così facendo, il Giudice, e noi insieme a lui, nel contesto dello studio della pratica, ha potuto constatare ed appurare quanto segue:
Alba e Bice si frequentano dal 2002. Nel 2005 decidono di andare a vivere insieme e, nel 2010, assistono alla nascita della loro prima figlia, partorita da Alba grazie alla fecondazione assistita. A seguire, con il seme dello stesso donatore, viene alla luce anche la figlia di Bice.
Ecco che, dunque, la famiglia è ora completa, Alba, Bice e le loro due bambine. A certificare anche formalmente l'avveramento di questo nucleo familiare (che, come ogni altro, presuppone la condivisione di sentimenti, problemi, aspetti logistici e pratici da dover superare e/o fronteggiare, come baby sitter, abitazione, medico, pediatra, dentista, corsi vari ecc...) l'iscrizione delle due donne financo nel registro delle unioni civili e la conseguente e logica richiesta di adozione congiunta delle due bambine da parte delle due donne.
Richiesta, haimè, necessaria a causa della grave ed insanabile lacuna presente nella legge Cirinnà sulle Unioni Civili, che ha omesso di disciplinare proprio le adozioni dei figli nati e/o inseriti in queste famiglie!.

E qui arriva il punto. Infatti, malgrado il Servizio adozioni abbia redatto un'analisi ufficiale "positiva", cioè favorevole all'adozione da parte delle due donne, constatando che "le bambine sono parse serene nella relazione con entrambe, curiose e riflessive sulla situazione familiare, notando differenze rispetto ad altri nuclei"; nonostante il riscontrato sostegno delle famiglie d'origine delle due donne ed anche, soprattutto, il parere positivo e favorevole all'adozione dato dallo stesso pubblico ministero, il Giudice del tribunale dei minorenni di Milano (composto in questo caso da due giudici togati e due onorari, quindi da quattro persone!) si è espresso in senso contrario. Ha rigettato il ricorso, quindi la richiesta di adozione 'incrociata' delle due bambine/sorelle da parte delle due donne.

A motivare tale decisione, come si legge nelle ventidue pagine che compongono la sentenza, la seguente interpretazione giuridica delle norme presenti nel nostro 'carente' ordinamento (carente perché, come detto, ad oggi non vi è una normativa che regolamenti le adozioni dei figli di coppie gay. A decidere sono i giudici, caso per caso, interpretando le norme che hanno a disposizione).

A tal fine, utilizziamo le parole del giornalista Piero Colaprico nell'articolo sopra citato, <<...partendo da una premessa concreta, e cioè che la legge italiana "conosce due forme di adozione". Innanzitutto, l'adozione non è un benefit per i genitori, ma è "consentita a favore dei minori dichiarati in stato di adottabilità". E, senza eccedere in tecnicismi, per il fondamentale articolo 8, adottabili sono quei "minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale". Si chiama, questa, "adozione legittimante".
Eccezioni? Sono possibili in base all'"ex art 44" alcuni casi speciali, al di fuori della "legittimante". Si può ugualmente adottare: quando c'è un "vincolo", per esempio dopo un lungo periodo di affidamento. Quando un coniuge adotta il figlio adottato dall'altro coniuge. Quando un disabile sia privo di genitori. Quando non è possibile un "affidamento preadottivo". 

E, dunque, che cosa si può fare nel concretissimo, umanissimo, delicatissimo caso delle "mamme incrociate" che hanno scelto e vissuto insieme due gravidanze "in famiglia"?
A pagina 15 emerge il confine: "L'adozione è un istituto giuridico che prescinde dal dato biologico e richiede, quindi, un modello giuridico di riferimento". 
E siccome "non può riconoscersi - dice il tribunale - alcuno stato di abbandono materiale o morale delle minori, che anzi godono certamente (...) di particolare attenzione da parte sia delle madri biologiche che delle rispettive compagne", ogni "orientamento estensivo" si scontra contro lo spirito e gli articoli delle leggi sino ad oggi in vigore. 
E, pur analizzando cavillosamente le sentenze romane e la giurisprudenza il tribunale dei minori, va ricordato che la corte di Strasburgo "ha sempre negato l'esistenza di un diritto ad adottare" e ha ripetuto che "spetta allo Stato regolare l'adozione".
Nella recente legge Cirinnà, che si occupa delle unioni civili, è precisato che "resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti". Questa formula, e cioè "la dizione "resta fermo" non può certamente essere intesa - dice la sentenza - nel senso di introdurre una nuova normativa". >>

Che significa? Significa che, non avendo la legge Cirinnà, e quindi lo Stato Italiano, disciplinato sulle adozioni tra persone dello stesso sesso e non sussistendo un diritto delle due donne/mamme ad adottare le loro bambine nè, tantomeno, uno stato di bisogno delle due piccole, Alba e Bice non hanno diritto ad adottare le loro figlie!.

Ora, dal punto di vista giuridico, appare un ragionamento ineccepibile, è, in fondo, un'interpretazione del diritto come un'altra. Resta il fatto che tra le esimenti previste dall'art.44, vi è anche la possibilità di adottare nella sussistenza di un 'vincolo' affettivo e materiale creatosi con il minore e, quindi, mai come in questo caso i giudici avrebbero potuto decidere diversamente e cioè a favore dell'adozione delle due bambine da parte delle loro madri.

E che qui, ancora una volta, ci appare esserci un gioco al massacro, che fa si che ogni politico/funzionario e giudice, segua i suoi convincimenti ideologici e/o più o meno conformi interpretazioni normative del nostro ordinamento, senza nulla guardare o empaticamente capire del mondo di questi bambini che vengono coinvolti!.
Basterebbe il buon senso per capire che le due figlie di Alba e Bice hanno diritto ad essere adottate dalle loro rispettive madri sociali, in modo da poter essere tutelate ora ed in futuro, come sorelle a tutti gli effetti di legge!.
Tutto il resto sono ciance e noi siamo ormai stufe di doverle sentire e commentare.

A noi non resta che dire solo: Buona fortuna alla famiglia di Alba e Bice. Siamo con voi.
MduL

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